Ricordate quando da piccoli i nostri genitori ci lasciavano avere un pò della crema al cioccolato che avevano preparato per guarnire una torta? Quella lunga attesa ad osservare gli ingredienti miscelarsi tra loro, cambiare colore e sostanza al ritmo di una frusta, per terminare in un perfetto equilibrio di densità e dolcezza, come gli strumenti di un’orchestra, insieme, creano una melodia difficile da dimenticare.
Si dice che i primi ricordi degli esseri viventi siano legati al cibo. Come a Marcel Proust, bastarono alcune briciole di una Madeleine immersa in una tazza di tè fumante, per rivivere la sua infanzia e le scorpacciate del dolce a casa della zia, la nostra memoria è impregnata di sapori capaci di condizionare profondamente la nostra personalità
Cosa succede, dunque, quando mangiamo qualcosa?
A love story
Ogni volta che assaggiamo del cibo si verifica un vero e proprio match, come dentro una dating app: sebbene l’esempio possa sembrare strano, il legame fra il cibo e la nostra percezione del sapore è un pò come una storia d’amore. Ogni singolo ingrediente è fatto di tante, piccole molecole che, nel caos di tutti gli altri ingredienti, e di altre molecole molto simili a loro, vengono calamitate verso la loro perfetta metà, verso la loro “anima gemella”. Scientificamente definito come legame recettore-ligando, è il meccanismo mediante il quale la natura ci ha dato la possibilità di individuare l’amaro, discernerlo dal dolce, dall’acido o dal salato.
Quando si verifica questo legame, quando le molecole del cibo incontrano la loro perfetta metà, viene mandato un messaggio al nostro cervello che immediatamente identifica cosa stiamo mangiando e costruisce attorno a quell’alimento dei ricordi. L’evocazione dei sapori costituisce, di fatto, la base psicologica dell’appetito, la famosa acquolina in bocca, andando a settare di conseguenza il nostro benessere psicologico.
Come in una vera storia d’amore, i ricordi di una buona esperienza con il cibo, di un piatto che abbiamo amato, tracciano dei solchi nel nostro cervello, come delle rotaie, attraverso le quali viaggiano le sensazioni che precedono la possibilità di poter gustare di nuovo quel piatto, di poter rivivere le stesse emozioni di un primo incontro.
Andare a naso
Gli studi sulla chimica del cibo sono innumerevoli. Una dinamica molto interessante e costantemente oggetto di studio è quella fra sapore ed odore. Gordon Shepherd, professore del dipartimento di Neurobiologia di Yale, sostiene che i sapori non sono nel cibo, ma vengono creati dal nostro cervello e, più nello specifico, vengono creati per la maggior parte dal nostro sistema olfattivo. Le molecole degli odori portano informazioni e stimolano i nostri recettori olfattivi, i quali trasmettono tali informazioni al cervello, che le traduce in immagini. Questo collegamento ai più alti centri cognitivi del cervello è una proprietà speciale dell’odore, che è fondamentale per l’esperienza del sapore. Quando si parla di cibo possiamo sentirci sicuri nel dire che è tutta una questione di naso!
L’elegante alchimia che regola il modo in cui gli ingredienti e le molecole olfattive si legano ai loro recettori somiglia a quella fra sceneggiatura e regia in un’opera teatrale: il risultato positivo è dato dal perfetto dinamismo fra inquadrature, musica ed atto teatrale come in un piatto è dato dal bilancio di odori e sapori.
E, come per un’opera teatrale realizzata con maestria, saremo propensi ad acquistare un nuovo biglietto, non rinunceremo mai ad indugiare qualche secondo in più nei ricordi di poche briciole di Madeleine.