Il 27 Novembre del 1957 è stato il giorno che ha completamente rivoluzionato l’Italia. Nulla sarebbe stato più come prima: cercando online, probabilmente non si troverà granchè su questa data, eppure, chi viveva la Milano di quell’epoca, chi attraversò viale regina Giovanna il 27 Novembre del 1957, assistette in modo del tutto ingenuo ad uno dei più grossi cambiamenti del sistema economico italiano, un vero e proprio Plot twist: l’apertura del primo supermercato.
Quel mercoledì gli italiani scoprirono un modo diverso di fare la spesa, nuovo, in perfetto american style. Il Corriere della Sera dell’epoca descrisse il primo supermercato come “ un ampio locale a livello della strada, fornito di lunghi e lucenti banchi pieni di prodotti. La caratteristica principale dell’esposizione è che tutte le merci sono confezionate in imballaggi pratici, eleganti, che garantiscono la massima pulizia. Grande è l’abbondanza di scatolame che contiene di tutto, dalle marmellate ai ravioli di sugo di carne, ai piselli e il pesce conservato, dall'olio di oliva agli asparagi”.
The Old good style
I supermercati sono stati una rivoluzione importante e continueranno a svolgere un ruolo cardine nel commercio alimentare.
Ma allora, cosa sta succedendo alle abitudini di acquisto degli italiani e perché il consumatore medio, ad oggi, brama con nostalgia le vecchie botteghe degli anni 50?
Come ogni problema complesso, le risposte sono molteplici, convolute e da ricercare nel modo tutto speciale che ha l’essere umano di relazionarsi con il mondo che lo circonda. Tuttavia, diversi studi condotti nel corso degli anni hanno evidenziato un aspetto antropologicamente interessante che manovrava il momento d’acquisto pre Novembre 1957: la funzione delle botteghe non consisteva esclusivamente in quella di semplice servizio distributivo, bensì di relazione; erano, di fatto, dei presidi del tessuto sociale in cui clienti e produttori potevano interagire face to face. Era possibile, dunque, chiamare con nome i prodotti acquistati. Se dovessimo dividere il mondo in un pre 1957 ed in un post 1957 c’è solo una domanda a cui abbiamo rinunciato: come si chiama la tua mela?
I commercianti dell’epoca avevano un volto ed anche nelle più grandi città c’era sempre una connessione molto personale fra chi acquistava e chi comprava. L’acquisto era, in qualche modo, un momento molto umano e, sebbene alcune condizioni garantite dalla grande distribuzione non potessero essere presenti - come lo standard igienico indubbiamente più basso - la mela acquistata non era solo una mela ma era la storia del produttore del luogo.
Gli italiani, per via delle loro assolutamente peculiari caratteristiche, sono una popolazione interessante da studiare per quanto concerne il legame produttore - territorio. Fra gli ultimi in Europa a sbarcare nel mondo GDO e fra i primi a volerlo lasciare, spiegano con le loro azioni perchè la cultura km 0 qui ha un valore emotivo particolarmente potente: caciaroni, rumorosi e distratti, amanti della chiacchiera ed inventori dello stile di vita slow, il filo conduttore è uno ed uno soltanto. Gli italiani amano interagire, e come accennato precedentemente, la spesa è un momento di socializzazione. Dando un’occhiata alle foto ed alle rappresentazioni dei metodi d’acquisto dell’epoca ci rendiamo conto di come gli stereotipi sugli italiani si palesassero proprio nel momento in cui le persone si dirigevano dal commerciante locale a fare la spesa: tono di voce mediamente alto, persone che con l’agilità di danzatori professionisti si destreggiavano fra altri clienti e fra le negoziazioni, la culla del vero marketing nasceva nelle botteghe.
Commercio 2.0
Il paradosso del commercio in piccolo di una volta è che, in realtà, ha molti spunti in comune con il nuovo commercio 2.0 che ha iniziato a svilupparsi a partire dai 60 anni successivi all’avvento del primo supermercato. Oggi, vogliamo il prodotto local, km 0 e le nascenti aziende devono necessariamente ricorrere alla personalizzazione dell’acquisto. Devono rendersi memorabili per il cliente, di modo che questo possa ricordare che il prodotto che ha comprato non è un oggetto qualsiasi che va confondendosi nel calderone degli acquisti del giorno, ma ha un nome, garanzia di qualità e di sostenibilità. Una volta il commerciante locale dava il proprio nome alla mela, ci metteva la faccia, possiamo dire, perchè alla fine dei conti era una buona strategia per garantire qualità ai propri clienti, per fidelizzarli. Il sistema funzionava, e la mela che le nostre nonne compravano aveva un nome e, in qualche modo, un sapore diverso.
Oggi cerchiamo di fare la stessa cosa, con metodi tecnologicamente più evoluti, ma vogliamo chiamare per nome l’olio, le mandorle o il miele sul nostro tavolo perchè ci fa sentire più vicini a chi li ha realizzati. Alla fine, circa 60 anni dopo quel 27 Novembre 1957, le nostre abitudini di acquisto si spostano su uno stile vintage ed i << lunghi e lucenti banchi pieni di prodotti >>, forse, non ci attraggono più.
Nostalgici, o nuovi innovatori vecchio stile, per noi è importante raccontare la storia dei nostri produttori, perchè hanno scelto la vita che hanno scelto e perchè credono sia ancora importante essere attivi brand ambassador dei propri prodotti.
La sezione Boniviri Storie è questo: una finestra sui nostri virtuosi e tenaci agricoltori, ai quali oggi possiamo chiedere: come si chiama il tuo prodotto?